Crisi Covid: quale ripartenza?

Crisi Covid: quale ripartenza?

Ripartenza dopo la crisi Covid – 19, quale soluzione alternativa migliore?

Un amico che non sentivo da qualche tempo mi ha chiamato per chiedermi un consiglio sulla sua impresa, di discrete dimensioni e dunque fallibile, che non stava attraversando un buon periodo. A distanza di due settimane mi ha richiamato per l’aggravio della situazione e allora ho dovuto approfondire la situazione, nel seguito capirete il perché.

Approfitto dell’occasione per trattare la tematica della ripresa post Coronavirus, che avevo già affrontato per quanta riguarda due diverse forme di impresa: start-up e micro imprese (non fallibili).

Oggi completo il quadro parlando delle numerosissime aziende medio/piccole, vera ossatura della struttura imprenditoriale italiana.

Il tema è il seguente: “Conviene tenere duro e prepararsi ad una ripartenza o piuttosto meglio pensare ad una soluzione alternativa?”

La risposta dipende naturalmente dalle condizioni di partenza, qui non certamente rappresentabili nella loro completezza, ma alcune indicazioni utili si possono trarre dal caso analizzato.

Incomincio però a evidenziare come il mio amico, che si era affidato ad uno studio di commercialisti di medio livello ma a uno studio legale noto, alla fine sia precipitato in una sorta di inferno dantesco che l’ha portato sino alla richiesta di fallimento. Un esito prevedibile ma evitabile. Nefasto secondo il mio punto di vista.

Chiaramente le difficoltà già presenti in molte società prima della crisi attuale vedranno tutte le difficoltà amplificate dal blocco delle attività e, a mio giudizio, si troveranno a lottare in uno scenario competitivo differente.

Ma andiamo per gradi, affrontiamo gli step in progressione temporale, essendo la società di cui trattiamo passata per tutti gli step che normalmente molti consulenti propongono (a mio parere sbagliando).

La prima fase di crisi leggera, generalmente si palesa a causa di una grossa insolvenza tra i propri clienti o un mercato che improvvisamente si dimostra poco ricettivo ai prodotti/servizi offerti; nel nostro caso specifico più la seconda casistica.

A questa difficoltà, che l’imprenditore per natura assume sempre essere momentanea, la risposta è stata il rallentamento dei pagamenti dei fornitori e delle poste fiscali a carico dell’azienda. “Tanto c’è il ravvedimento operoso” spesso è la giustificazione dell’imprenditore.

Bene, anzi male. Perché è proprio da tal punto che inizia il percorso di non ritorno.

Inoltre, con le nuove disposizioni relative alla legge concorsuale (che avrebbe dovuto entrare in vigore tra pochi mesi ma sinceramente ritengo inverosimile il rispetto della data), tali dinamiche verrebbero ad essere portate all’attenzione degli OCRI (Organismo di Composizione Crisi) da parte di una moltitudine di attori per cui in futuro sarà un comportamento che tenderà a scomparire.

Purtroppo tardare a prendere la decisione di affrontare di petto le difficoltà nella mia esperienza è quasi sempre negativo, in quanto le banche, per fare l’esempio più frequente, avranno certamente più facilità nel trattare una situazione non ancora compromessa piuttosto che una azienda già decotta. Le forze stesse a disposizione dell’imprenditore non sono ancora state oggetto di logoramento dovuto a lunghi mesi di battaglia con i fornitori e trincea con i finanziatori.

Gli strumenti in questa fase sono molteplici, ne cito solo alcuni: Accordi di ristrutturazione dei debiti e piano attestato di risanamento (182 bis e 67 l.f.)

Io generalmente li sconsiglio entrambi, contrariamente a molti miei colleghi.

Gestendo anche di procedure per conto dei tribunali, non solo per i clienti privati, è noto che moltissime imprese passate per uno dei due istituti di cui sopra divengono poi “clienti” del tribunale per una procedura concorsuale più importante, quindi meglio affrontare subito il “toro per le corna” che fare questo passaggio intermedio, tanto dispendioso quanto prodromico a nulla di edificante, fatte salve le rare eccezioni.

MI permetto di dare un’indicazione di massima, frutto dell’esperienza. Se l’indebitamento riguarda principalmente i fornitori e/o in caso non vi sia il bisogno di nuova finanza (nelle procedure sopra esposte tali finanziamenti vengono “tutelati” in caso di successivo fallimento) allora molto meglio procedere senza incastrarsi nella complessità e onerosità di tali procedure. Vi sono spesso soluzioni preferibili e certamente nel caso l’imprenditore sia chiamato a ricapitalizzare con proprie risorse la società.

Anche nell’esempio da cui ho preso spunto è successo che il consulente abbia proposto tale passaggio, purtroppo per l’imprenditore in breve tempo la situazione aziendale è peggiorata notevolmente a causa di uno specifico segmento di mercato e dunque anche la soluzione ristrutturazione debito ha perso di rilevanza.

Secondo step della discesa, la fase di liquidazione in bonis. Consigliato dal commercialista (non dall’avvocato che evidentemente aveva una diversa visione) l’imprenditore ha iniziato un sondaggio presso tutti i propri contatti per valutare chi fosse interessato ad una procedura di saldo e stralcio, così, sic et simpliciter, una proposta di riduzione parziale e dilazione del debito, accampando le difficoltà di mercato incontrate.

Chi si occupa di liquidazioni in bonis e saldo e stralcio sa benissimo quanto delicata sia la proposta e quanto sia complesso coagulare il consenso del ceto creditorio su di una proposta, vista l’estrema diffidenza che si suscita. Tale attività è, nella mi esperienza, addirittura più complessa della gestione delle procedure concorsuali. Non si presta a improvvisazioni, deve avere un supporto di promesse future adeguate a giustificare la rinuncia, deve essere ben circostanziata, non apodittica!

Chiaramente tutto questo non è successo e dunque l’imprenditore si è trovato ad affrontare la fase 3: la chiusura in presenza di conseguenze personali e aziendali non trascurabili.

La proposta dell’avvocato è stata diretta al punto: fallimento in proprio!

Peccato che tale soluzione avrebbe potuto avere un senso all’inizio del suo incarico, quando la crisi non aveva ancora eroso il capitale sociale (rectius Patrimonio netto). Questo comporta per l’imprenditore/amministratore precise conseguenze in termini di responsabilità patrimoniale, e non solo purtroppo. Ma non è mia intenzione spaventare il lettore, quindi passiamo oltre.

L’imprenditore vistosi stremato e con le “spalle al muro” allora ha pensato di rivolgersi a PerImpresa, sapendo che lavoriamo per il tribunale e sperando nella magia dell’adepto. È un amico, per cui con tatto gli ho spiegato che la soluzione percorribile per lui più conveniente non era quella da lui iniziata ma ormai le condizioni, prima di tutto mentali, oltre che economiche erano così precarie che il confronto con me è avvenuto più come sfogo che non per un ultimo tentativo di sfuggire alla morsa degli eventi infausti.

Alla fine, sono stato d’aiuto come difesa dalle responsabilità dei reati di bancarotta preferenziale (i professionisti chiedevano il pagamento dei propri compensi senza il pagamento dei dipendenti che ha grado di privilegio superiore), ma ormai l’avvitamento era giunto alla sua conclusione naturale, lo schianto al suolo. Tutto ciò non era ineluttabile, ma era evitabilissimo. Due rami d’attività dell’impresa erano ancora in grado di rimanere sul mercato, mentre senz’altro vi era un ramo che rappresentava un buco nero per le risorse aziendali, capace di assorbire tutto il buon business che comunque esisteva all’intero dell’impresa.

Nel caso sopra descritto avrei certamente suggerito la separazione del rischio d’impresa in due realtà differenti, sin dalle prime avvisaglie, con interessanti proposte ai fornitori per la ristrutturazione del debito (presentando chiari piani di continuità per il business redditizio in cui loro avessero una parte, anche in mancanza di cassa, attraverso strumenti di incentivazione spinta , es. Equity Kick-Off). Nelle situazioni difficili ci vogliono scelte coraggiose prese quando ancora la forza di trattativa non si sia annullata, prima si agisce meglio è, questa l’indicazione principale.

Ma quando è troppo tardi?

Cosa succederà a migliaia di imprenditori quando sarà finita la fase del Coronavirus e le aziende dovranno riaccendere i motori? Cosa accadrà alle spese fisse non onorate ma certamente maturate nel periodo di blocco forzato?

Anche in questo caso le mie indicazioni sono chiare: muovetevi ora!

Non aspettate di essere in concorrenza con altre imprese alla fine di questo periodo nero, quello che ci aspetta sarà sicuramente un lungo e difficoltoso cammino di ripresa per cui, a meno di settori profittevoli sin dal primo giorno l’imprenditore è chiamato a trovare soluzioni valide per salvaguardare le proprie prospettive imprenditoriali, non sempre coincidenti con la continuazione della propria attività nelle stesse modalità di prima della crisi.

Si pensi soltanto allo strumento più facilmente percorribile per non cadere sotto il peso dei propri debiti ma con un business potenzialmente profittevole: il concordato in continuità. Difficilissimo da organizzare, ancora più difficile da farsi approvare dagli organi giudiziari se non seguiti da professionisti capaci e con le idee chiare. Tale istituto permette la continuità dell’attività d’impresa e, a fine percorso, la possibilità di ripartire senza zavorre insostenibili nel lungo termine.

Ma nonostante i Tribunali siano chiusi, non aspettate altro tempo! Pensate alle migliaia di domande che si accumuleranno sui tavoli dei giudici della sezione fallimentare passati 6-12 mesi dalla fine della crisi. Le possibilità di trovare Liquidatori Giudiziali anche nelle sezioni fallimentari più grandi (ad esempio Milano) non sono superiori a qualche centinaio, e la selezione per chi non vorrà essere coinvolto in un fallimento saranno ridotte, infatti la maggioranza delle proposte di concordato verrà bocciata.

Io cerco sempre di salvare le imprese e gli imprenditori che si rivolgono a me, anche per salvare i posti di lavoro e contribuire al benessere e alla coesione di tutta la società. MI sento di suggerire con forza tale soluzione, se ve ne fossero i necessari prerequisiti.

Ma anche nel caso decidiate di averne avuto abbastanza dell’attività, è altrettanto cruciale e forse anche più che nel caso precedente, organizzare un ingresso in procedura fallimentare con tute le carte in regola (anche nel senso letterale, si veda il reato di bancarotta documentale a titolo di ipotesi).

I motivi sono chiari, non vi saranno grandi disponibilità dei curatori ad andare per il sottile con un numero elevato di procedure e dunque coloro che riusciranno ad essere ricompresi nella categoria “imprenditore sfortunato ma onesto” certamente ne beneficeranno in maniera sensibile.

Attendere oltre sarebbe certamente una scelta sbagliata, agite ora!

In caso abbiate interesse ad affrontare il tema, siamo a disposizione per una videochiamata senza impegno. Cliccate qui per i contatti.